Lo stress come alleato: la supercompensazione nell’Aikido

Le linee guida dell’OMS per l’attività fisica e la prevenzione della sedentarietà raccomandano almeno dai 150 ai 300 minuti a settimana di attività aerobica moderata.

Mediamente un praticante di Aikido frequenta due, tre volte a settimana e quindi l’OMS può ritenersi soddisfatta… Ma ovviamente il punto è un altro:

come far sì che ogni keiko, ogni allenamento serva per progredire davvero in ogni dimensione personale?

La parola chiave è: supercompensazione. Ci sono molti studi, a cui rimandiamo per una comprensione più accurata di questo fenomeno. Qui ci limitiamo a riassumerne brevemente il funzionamento.

Il nostro sistema psicofisico è talmente ben progettato che, quando riceve uno stimolo esterno (per esempio un allenamento), va in una condizione catabolica. Va cioè in uno stato psicofisico leggermente inferiore rispetto all’inizio dell’allenamento. A questa condizione segue una fase di recupero, anabolica. Ed è qui che avviene un piccolo miracolo.

Per evitare di andare, diciamo così, in riserva in futuro, il nostro sistema va in uno stato di supercompensazione. Va ad aumentare cioè la propria condizione. Questo è il motivo per cui un buon allenamento restituisce nel tempo più resistenza, più forza, maggiore elasticità.

La supercompensazione è un fenomeno da conoscere e da riconoscere. Da riconoscere perché se ben inteso permette di beneficiare in modo deciso degli allenamenti. Al contrario, se ignorato o mal applicato, tende a trasformare inesorabilmente gli allenamenti in una spirale di peggioramento delle condizioni psicofisiche.

Che cosa succede, infatti, se noi ci alleniamo quando la fase di recupero non è ancora terminata? Cioè, quando il nostro stato psicofisico va in una fase di “down”?

E’ un dato di fatto che la totalità dei praticanti di Aikido, come di tutte le discipline marziali, pratichi a orari e a giorni fissi e non quando ciascuno si trova nel suo stato di supercompensazione.

Occorre quindi saper offrire al sistema psicofisico del praticante una serie bilanciata di stimoli, che possiamo definire sotto tre tipologie di stress:

Stress fisico, sotto forma di un lavoro progressivo di carichi e di nuove competenze motorie, nel rispetto delle reali condizioni di ciascuno;

Stress cognitivo, dato dalla mole di nuove informazioni, terminologie e tecniche da decodificare, apprendere ed eseguire;

Stress emotivo, dato dall’utilizzo del corpo al di fuori della sua zona di comfort e sperimentato principalmente sotto la pressione di un attacco e nelle situazioni di perdita di equilibrio e di cadute.

I nostri allenamenti quindi hanno bisogno di essere bilanciati almeno in queste tre dimensioni. L’allenamento fisico è importante ma non può essere un assoluto e non solo perché alla lunga taglierebbe fuori intere fasce di praticanti che non riuscirebbero più a reggere fisicamente determinati ritmi. Il punto è che la supercompensazione non sarebbe possibile per nessuno se ci si limitasse ad un lavoro con un’impronta fisica preponderante. Il fenomeno dell’overtraining è sempre in agguato e un buon allenatore lo deve sapere.

L’allenamento puramente tecnico (cognitivo), è importantissimo. Le nostre discipline hanno un deposito di conoscenza che viene esplorato spesso solo in superficie. Ma anche -soprattutto- la mente ha bisogno di ricevere una quantità di stimoli funzionale alla crescita, tanto più in un periodo in cui si è sensorialmente iperstimolati lungo tutta la giornata. Infine, le speculazioni intellettuali possono essere un comodo rifugio in cui ripararsi dalla responsabilità di un impegno fisico, a volte illudendosi di essere già arrivati in una qualche forma di conoscenza e autoproclamata illuminazione.

Permanere in una situazione in cui si è sempre sotto pressione, infine, non dà il tempo alla singola persona di riconoscere il proprio mondo interiore, di vedere le emozioni emergere e di diventare quindi responsabile dell’uso che si può fare della loro manifestazione.

E’ precisamente il bilanciamento di questo mix che consente ai praticanti di una disciplina marziale di portare la vita di tutti i giorni in quel laboratorio che è il tatami per poi sperimentare, nella vita di tutti i giorni, il nuovo approccio al conflitto che si studia durante la pratica.

Da questo punto di vista l’enorme iperstimolazione a cui siamo tutti sottoposti quotidianamente diventa un carburante da decodificare e da usare per la crescita personale. Non stiamo dicendo che lo stress che ci attraversa sia qualcosa da ricercare volontariamente ma, dal momento che comunque è un dato di realtà, può diventare un potente alleato per la nostra crescita, almeno tanto quanto l’attenzione ad una preparazione fisica curata.

Disclaimer: Foto di Pedro Figueras da Pexels

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